Specchio, specchio delle mie brame… Il mito della bellezza nelle strategie di marketing.

di Elena Codeluppi

La bellezza è stata per millenni un meccanismo sociale costruito per mantenere l’egemonia maschile. Naomi Wolf nel libro “Il mito della bellezza”, edito in italiano dalla casa editrice Tlon, mostra come questo costrutto sia un sistema alternativo con le sue leggi, il suo lavoro, la sua religione, la sua cultura, la sua sessualità e la sua istruzione. Secondo la scrittrice, nella società contemporanea il concetto di bellezza femminile non riguarda quindi la semplice valorizzazione di un insieme di qualità estetiche, ma riflette, piuttosto, la capacità della donna di adeguarsi a uno standard socialmente imposto, variabile nel tempo e nello spazio a seconda dei modelli economici e culturali di riferimento.

I tre fattori che contribuirono a creare il mito della bellezza femminile.

L’industria dietetica con i suoi 33 miliardi di fatturato, quella cosmetica da 20 miliardi e quella della chirurgia plastica da 300 milioni sono frutto di questo capitale culturale che il marketing ha contribuito a diffondere. La bellezza acquista valore sociale sostituendo la mitologia della maternità e della purezza e relegando la donna in un sistema complesso in cui si intrecciano potere, oppressione, controllo del corpo, economia e società.

L’origine di questo loop è datata verso la fine dell’800 con: l’avvento della borghesia, l’inizio dell’emancipazione delle donne e la loro trasformazione in un target interessante per il marketing. Maura Gancitano lo racconta in modo molto chiaro ed efficace nel libro “Specchio delle mie brame” individuando nella fotografia, lo strumento di divulgazione che ha amplificato la replicabilità dei canoni estetici. Se aggiungiamo la pubblicità sui i mass media (televisione, giornali, social network), la diffusione raggiunge numeri immensi.

Non solo un mezzo ma anche un sistema economico e scientifico ha favorito il divulgarsi di criteri estetici sempre più stringenti per il corpo femminile. Con la nascita dell’industria cosmetica in Francia (1895) che coniugava estetica, salute e chimica venne diffusa una “cosiddetta malattia” che ancora ci affligge: la cellulite.

La cellulite è un inestetismo inesistente

Un terzo elemento fondamentale su cui riflettere per capire come si è sviluppato il mito della bellezza è l’indipendenza economica che le donne hanno conquistato con l’avvento della Prima Guerra Mondiale. Con gli uomini al fronte, molte donne poterono uscire di casa, avere accesso alle Università, lavorare e ottenere vere e proprie conquiste in tutti gli ambiti. Non solo occuparono nuovi posti ma ebbero (compresi i loro corpi) nuova visibilità. La figura femminile riempì le strade e i cartelloni pubblicitari.

Dal punto di vista di chi deteneva il potere sociale, politico ed economico, il nuovo archetipo della femminilità moderna rappresentava quindi un pericolo, ma l’industria cosmetica, la cui diffusione era avvenuta anche e soprattutto grazie all’emancipazione delle sue clienti, aveva le potenzialità per trasformarsi in un inedito strumento di controllo.

Il ruolo della pubblicità e i suoi meccanismi.

Le riviste, e in generale la pubblicità, favoriscono il mito della bellezza che diventa nuovo culto religioso con le sue regole e i suoi sistemi di controllo. Solo che il giudizio di Dio è sostituito dagli occhi dell’uomo per mantenere il potere sociale. Provate a pensare ad esempio al concetto di “rito di bellezza” basato su principi che seducono e intrappolano allo stesso tempo. Avremo quindi regole per la beauty routine, trucchi per essere corpi seducenti, punizioni per chi trasgredisce. In questo sistema, il marketing funziona da detonatore dal momento che i suoi messaggi sono ripetuti, amplificati e recepiti in tutte le fasi della vita di una persona: immerse fin da bambine in immagini stereotipate dovremo combattere per sradicare in noi questi concetti.

Per capire cosa alimentò la necessità di corrispondere a un unico modello di corpo si aggiunse, dobbiamo tornare agli anni Cinquanta, quando si diffuse il più classico degli slogan neoliberisti: quello del “se vuoi, puoi”. Coraggio, determinazione e auto-disciplina divennero valori imprescindibili e la cura di sé e del proprio corpo un obiettivo da raggiungere; il fallimento, al contrario, divenne presto sinonimo di debolezza, al punto che anche “fallire” una dieta cominciò ad arricchirsi di un significato molto più profondo.

Pubblicità anni ’30 per promuovere la depilazione

Per scardinare questo culto abbiamo forse bisogno di immagini differenti che rappresentino i corpi nella loro unicità e spontaneità. Alcuni brand, attenti alle richieste di un standard di bellezza differente, scelgono come protagoniste dei loro spot corpi non conformi; non utilizzano correttori grafici come photoshop, per le foto di intimo; e sono attenti a utilizzare un linguaggio visivo che mostri la realtà e non lo stereotipo di essa.

Brand inclusivi che scardinano il mito della bellezza irraggiungibile.

Tra i brand che cercano di proporre un altro ideale, abbiamo Dove che, dal 2004, promuove campagne per combatte l’esasperazione del concetto di bellezza. Se da una parte abbiamo feed di Instagram e Tik Tok pieni di immagini con persone felici, perfette, senza una ruga o imperfezione, dall’altra abbiamo la consapevolezza che questa è una trappola che mina l’autostima e la bellezza autentica. Come possiamo spiegare alle nuove generazioni di accettarsi anche se non si incarnano i canoni approvati dalla realtà virtuale? Sembra che non si possa emergere nel mondo se non si trasmette un’immagine estetica di sé cool. Dove ha voluto sdoganare ciò che si cela dietro una foto. Nel video, Dove riporta la storia vera di una ragazzina, ossessionata dall’uso di un tool per modificare la propria immagine prima di postarla sui social.

Quali sono le principali regole per scardinare questo sistema? Vediamone insieme alcune:

  • Non utilizzare testimonial ma donne comuni come nel caso della campagna di Gucci per il rossetto o nella comunicazione del brand per lo sportwear OceanApart;
  • Modificare il linguaggio non utilizzando la parola “normale” come per i prodotti di Unilever;
  • Sviluppare il concetto di inclusione come nella campagna di Superfluid; che produce prodotti cosmetici. Il brand ha utilizzato come volto Aurora Ramazzotti per raccontare la sua battaglia contro l’acne. 
Campagna Gucci
Campagna di OceanApart

L’autenticità diventa la chiave per costruire un concetto di bellezza tridimensionale in cui sogni, emozioni e individualità hanno la stessa importanza delle altre caratteristiche vincolanti sviluppate negli ultimi decenni. Obiettivo è quello di mostrare che la perfezione è un concetto lontano dalla bellezza che ognuno di noi possiede.